1905

1905 - 2015
da Pietro Mancini a Giacomo Mancini e a Gino Verità
l’attualità di “la Parola Socialista” a 110 anni dalla fondazione

Francesco Colucci

Intervento del Questore della Camera dei Deputati, On. Francesco Colucci,
alla Cerimonia di Commemorazione dell'On. Giacomo Mancini

Roma, 8 maggio 2002 - ore 17,00  - Sala della Regina

Ricordare Giacomo Mancini, la sua opera, la sua storia è compito arduo, complesso. Lo faranno con sapienza tre grandi personalità; tre uomini di valore le cui vicende si sono intrecciate alle sue, negli anni più delicati della nostra storia repubblicana.
Per me è un'emozione particolare introdurre questo incontro.
Una circostanza nella quale cuore ed intelletto ricorrono a ricordi antichi e recenti per segnare i tratti di un uomo a cui mi ha legato un'amicizia ed una devozione senza pari. Conobbi Giacomo Mancini nella primavera del '47, infatti. E da allora la nostra amicizia non ha mai subito tentennamenti, interruzioni.

Giacomo Mancini è, senz'altro, una figura di primissimo piano nella storia repubblicana; un punto di riferimento forte per i socialisti, per i riformisti, per quanti hanno a cuore la libertà e la democrazia: parole che, in questo caso, rivestono un valore particolare, se rapportate all'opera di un uomo le cui azioni sono già consegnate alla storia superando, per il loro stesso valore, gli angusti e fragili spazi della cronaca.
Non è difficile ravvisare, nei tratti della sua azione politica, i segnali più vivi e più forti di un riformatore convinto, di un uomo che ha cercato la riunificazione di tutti i socialisti, la modernizzazione di un partito che potesse così cogliere il significato vero delle sfide che il futuro proponeva al Paese e si preparava, dunque, a guidarlo con un approccio laico e uno spirito modernizzatore. L'autonomia dei socialisti in un confronto serrato e senza sconti con il PCI (con il quale si confrontò, anche duramente, senza pregiudizi) la felice stagione delle riforme, la lotta per il progresso economico e sociale del mezzogiorno, la difesa intransigente delle garanzie democratiche, della libertà di espressione, dei diritti civili: sono questi solo alcuni dei tratti distintivi del suo impegno.
Raccolse l'eredità politica, morale di suo padre Pietro, uno dei fondatori del PSI e primo deputato socialista calabrese. Partecipò all'organizzazione militare clandestina a Roma nel '44 e, subito dopo la Liberazione fu segretario del PSI e consigliere comunale a Cosenza. Eletto alla Camera dei Deputati nel '48, conservò il seggio parlamentare ininterrottamente sino al '92. In direzione nazionale del partito socialista nel '53, ne divenne vicesegretario nel '69 e segretario dal '70 al '72. Ministro della sanità nel '64, quindi dei lavori pubblici e del Mezzogiorno. Sindaco di Cosenza nel '93 e nel '97.
In ogni passaggio della sua intensa vita politica ha segnato tappe fondamentali per lo sviluppo sociale e democratico del Paese, per la ricostruzione e la crescita del sud d'Italia. L'amore profondo, persino commovente, per la sua terra lo sollecitò a concepire l'intervento straordinario nel mezzogiorno, una scelta indispensabile, credo persino inevitabile, in un frangente così drammatico per il sud. Giacomo Mancini ha combattuto per l'emancipazione della donna, contro interessi economici ed ostacoli burocratici, per imporre la vaccinazione antipolio gratuita nelle scuole; ha impedito che l'Italia finisse ad Eboli.
E' stato anche il difensore convinto della cultura democratica e riformista, la coscienza critica che, in tema di battaglie civili per la libertà, ha ricordato alla sinistra italiana come le forze riformiste, di progresso, muoiono se condannano le azioni ma rinunciano a capire l'essenza dei movimenti.
Garantista forte e convinto si è battuto senza risparmio per l'affermazione dei diritti civili. E' stato in prima fila nella battaglia per il divorzio; non si è schierato con il fronte della fermezza contro il terrorismo ricevendo giudizi duri dai comunisti che gli rimproveravano simpatie e rapporti con la sinistra extraparlamentare.
Ma la sua coscienza, il suo animo erano terra d'asilo e Giacomo non ha mai rinunciato a capire le altrui ragioni, ad aprire la porta a chi la pensava diversamente da lui. Una sorta di curiosità umana, di grande passione sociale, di rilevante, raro spessore intellettuale, ne hanno caratterizzato sempre l'azione politica improntata a comprendere ed affrontare le grandi questioni, le sfide del futuro ed a superare con sapiente equilibrio le resistenze conservatrici.
Come ogni uomo che si batte per realizzare grandi sogni è stato spesso amareggiato, addirittura tradito dalla realtà: e, per questo, è sovente rimasto solo. Ma mai domo, anche se addolorato.
Perché, quando un grande cuore viene tradito, è infelice. Molto infelice. Più infelice di tutti gli altri uomini.
Aveva un concetto alto e forte dello Stato, della lotta politica, della democrazia, della civiltà, della libertà. Ma, per uno strano scherzo del destino, ha dovuto combattere contro accuse che lo hanno ferito mortalmente proprio perché gli venivano rivolte sul terreno e sulle questioni che lo avevano sempre visto schierato in prima fila per l'affermazione e la supremazia delle regole democratiche, del confronto civile, dello stato di diritto.
Giacomo Mancini definì quel periodo buio e drammatico, in cui le contraddittorie, confuse, interessate parole dei pentiti valsero più di quelle di personalità come Cossiga, Ruffolo, Macaluso, (che non vennero tenute in alcuna considerazione) "una sofferenza di sette anni". Non rinunciando, anche in questo caso, a trasferire sul piano generale e dell'interesse sociale non già la sua verità ma una considerazione utile al Paese intero: "Sarebbe assai importante sapere come si è potuto giungere a questo".
E' una domanda che troppo spesso nel nostro Paese, nei momenti cruciali della sua storia ci si è dovuti porre: ed alla quale sarebbe ora di rispondere con serenità e con rigore.
Un passaggio doloroso, nella sua vita, un passaggio di grande, incommensurabile dolore. Ma Giacomo ha saputo reagire con compostezza, con vigore, con serenità. Ha vinto, alla fine. Ma quanto gli siano costate tante sofferenze non è dato sapere. Possiamo intuirlo, ma non sapremo mai la verità.
Oggi commemoriamo una delle personalità più significative della storia repubblicana: di sicuro, una delle più importanti, determinanti per il mezzogiorno d'Italia. Un uomo che vedeva nel socialismo riformista la via indispensabile per un progresso ed uno sviluppo che tenessero bene a mente i problemi e le necessità dei più deboli e degli emarginati. I suoi valori sono i valori dei democratici; le sue battaglie sono le battaglie dei progressisti.
Ricordare Giacomo Mancini è ricordare pagine di storia nobili e significative. La sua vita, la sua vicenda politica, nate da una famiglia che anche oggi qui si stringe intorno a lui, sono state ricordate alla Camera dal Presidente Casini. Un intervento lucido, rigoroso, a cui è seguito quello commosso, affettuoso dell'on. Giacomo Mancini, il nipote che oggi siede sui banchi di Montecitorio e per il quale il nonno è stato un consigliere sempre presente, una guida certa e preziosa. I media, poi, hanno illustrato e sottolineato largamente la storia e la vita, il valore, in definitiva, di un uomo che ha tanto dato al Paese, che ha segnato in maniera indelebile la storia italiana dal dopoguerra ad oggi.
Un uomo politico di razza ha grandi intuizioni ma commette, spesso, anche grandi errori: spetta ai politologi, agli storici il giudizio critico; stabilire la prevalenza dell'uno sull'altro o il loro sostanziale equilibrio. Ma il valore aggiunto del politico di razza, è il cuore che mette nel suo impegno, il senso di giustizia che prevale, il coraggio di non indietreggiare mai di fronte al pericolo, di fronte a chi attacca le sue idee.
E Giacomo questo ruolo ha saputo interpretarlo con la tempra del combattente vero, con l'animo di chi vuole raggiungere un sogno: costi quel che costi. E di battaglie, questo è certo, ne ha combattute un'infinità: contro democristiani, comunisti, socialdemocratici, missini, contro potentati economici, contro la criminalità organizzata, contro i corpi separati dello stato, contro i generali, contro uomini potenti come contro il Quirinale. Tanto freddo, tagliente, sprezzante nelle sue reazioni, quanto lucido, passionale, umano, nella esposizione delle sue ragioni: che sono sempre state le ragioni dei più deboli, che sono sempre state le ragioni dello stato di diritto che voleva giusto, solidale, libero.
Era interprete di un socialismo pragmatico quando si trattava di questioni di mercato, di lavoro, di sistema, delle forme, degli strumenti sociali, assolutamente intransigente fino alla durezza rispetto ai valori umani, ai diritti dell'uomo. Forse in questo risiedeva il contrasto più vero e sostanzioso della sua polemica a sinistra. Il socialismo dell'individuo, della libertà, della ribellione, degli atteggiamenti anarcoidi trovava in lui forma e vita, una guida lucida, colta, raffinata.
Da giovane, fazzoletto rosso al collo, si scontrò con agrari e carabinieri, bacchettò (firmandosi 'Gino Verità') i riti e le prassi di prelati e militari. Uomo maturo, seppe battersi a fianco di chi voleva la libertà per il proprio paese in ogni parte del mondo, solidarizzò con i radicali in sciopero della fame, si batté perché ogni opinione, anche la più estrema, la più distante dalle sue non divenisse reato.
Un combattente vero, Giacomo Mancini, un uomo che ha nobilitato la politica con la passione, il lavoro e il sacrificio: e che ha rappresentato al massimo livello il suo popolo, la sua gente. Quella gente che, senza distinzioni di sorta lo ha accompagnato all'ultima dimora.
Le cronache raccontano di un girotondo fatto intorno al feretro da operai, preti, militari, intellettuali, donne eleganti e ragazze tatuate, handicappati, bambini delle scuole.
E di negozianti. Fermi, al passaggio del feretro, davanti alle saracinesche abbassate, di una folla straordinaria, dei tanti fiori e dei garofani rossi. E di un cartello sollevato da nomadi riconoscenti ai quali il sindaco Mancini aveva dedicato tanto impegno per risolvere anche i loro problemi: "II nostro tetto, il tuo paradiso".
Perché c'è soprattutto questo, nella vita di Giacomo Mancini: l'amore e la fedeltà della sua gente.
Ripagata da lui con la lotta politica, la difesa della sua identità, del suo futuro, delle sue speranze.




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