Ricordo di Giacomo Mancini
Non è facile ricordare un amico, così ricco
di vita personale e politica, così "misticamente" identificato nel suo impegno al servizio
della comunità secondo i suoi alti ideali, quando la Morte ce ne
ha privato e ha confinato la sua vivace presenza nel ricordo, anche
se nitido.
Parlare di Giacomo Mancini non è facile, in
particolare dopo che, con ben altro diritto che non io, l'hanno così altamente ed esaustivamente
commemorato gli amici Francesco Colucci,
Giuliano Vassalli e Rino Formica, con parole nobili e
che già tracciano una storia della sua vita di uomo di Stato e uomo di Partito, di
uomo e di cattolico.
Egli fu un uomo e un politico complesso, nei
sentimenti, nei suoi ideali e nel suo agire politico.
Egli fu un uomo di forti sentimenti, di
forti "amori" e anche, se
la
parola non fosse in contrasto
con la sua forzatamente dissimulata
ma chiaramente innata
gentilezza e soprattutto generosità, di forti "odii": ma "amori" e
"odii" di un uomo,
passionale certo, ma che mai fu mosso nel suo sentire e
nel suo agire da meschini risentimenti personali o da ancor più meschini interessi.
Egli fu un forte e grande uomo politico,
degno figlio di un padre altrettanto forte e grande, Pietro Mancini! Ed egli fu della Prima Repubblica,
di quella gloriosa Prima Repubblica dei repubblicani,
del referendum istituzionale coronamento del Risorgimento,
della Assemblea Costituente di 50 anni di democrazia,
libertà e progresso!, della gloriosa Prima Repubblica, su cui antichi e ancor
validi resti, non il nuovo, ma il "nuovismo" di magistrati in cerca
di vendetta per invidia sociale o con la presunzione di riscrivere la Storia o
con la nobile passione giacobina di
raggiungere moralità e scritti politici con il più modesto strumento del
processo, e di non pochi dilettanti non è ancora riuscita a costruire
neanche le fondamenta della Seconda
Repùbblica, che già si parla della Terza:
ma né della Seconda né tanto meno si vedono tratti più moderni e democratici della Prima!
Egli fu un socialista fervente, ma per un
ideale di giustizia ed eguaglianza concrete, non per astrattezze
ideologiche; fu un antifascista inflessibile per ribellione
morale alla violenza e alla sopraffazione; un
repubblicano che credeva nello Stato costituzionale
delle libertà e nello Stato di diritto, e per essi sempre si batté, ma che dovette per spietatezza del destino o per vendetta di miserabili portare il peso tremendo di una "giustizia ingiusta"; e di una mormorazione ignobile, egli era un uomo della libertà, direi delle libertà nel senso libertario del termine! Ed è questo suo spirito "libertario" che gli ispirò, tra
critiche di non pochi, estrema ed intelligente comprensione e tolleranza, umana e politica, e comunque sempre attenzione acuta, alle posizioni diverse o anche "alternative" e
"alternativiste", alle sue o a quelle comuni, anche di quelle
estreme, alla ricerca dei motivi reali
di esse ed
ai modi più
integrali nella vita democratica.
E anche per la sua da allora da me non
compresa "intelligenza"verso la
sinistra alternativa ed estrema, che io, il Cossiga con la K e le SS Runiche della politica
cosiddetto, come Ministro dell'Interno del primo governo di solidarietà nazionale, politica in cui ho creduto
e ancora credo, quando fui libero
da responsabilità istituzionali, mi applicai all'esame delle cause
vere, politiche e sociali del "terrorismo di sinistra" e
della "eversione di
destra", sostenendo fermamente
la causa dell'amnistia
o almeno dell'indulto.
Ed egli fu un grande ed efficiente uomo di
Governo: un "genio"
della praticità e della concretezza, nell'agire
amministrativo di Ministro.
Io lo conobbi non appena, tanti, tanti anni fa ormai!, entrai ancora
giovane, quasi un ragazzo, nella Camera dei Deputati ad essa eletto
per la Democrazia Cristiana nelle elezioni generali del 1958. E
subito ci conoscemmo e subito egli mi prese a ben volere. E diventammo amici.
Avevamo
moltissime cose in
comune; per alcune
contrastavamo, anche duramente, ma sempre schiettamente e lealmente, e
per altre differivamo. Entrambi certo non avevamo
un carattere facile, anzi anche un po'
ombroso! Ma ogni litigio e incomprensione - e non poche, infatti, ve ne furono – venivano tra di noi
subito superate per la reciproca stima, per la buona fede che
entrambi ci riconoscevamo e, perché non ammetterlo, anche per la sua grande generosità.
Egli era un politico che, pur nella rude
schiettezza propria della sua terra e della sua gente, aveva i modi di pensare
e di agire di un grande "signore meridionale", di un grande signore democratico, cui la famiglia non aveva certo trasmesso feudi e titoli, ma valori e virtù!
Egli fu un meridionalista nel senso
democratico, politico nazionale e non localistico. Egli fu cioè
uno di quei meridionalisti che avevano compreso come, contro ogni tabù della
storiografia savoiarda, la unità nazionale
d'Italia, come unità morale e sociale di tutti gli italiani e non come
pura unità formale e istituzionale, tra l'altro burocraticamente realizzata poi con la diplomazia e l'azione militare della certo per questo meritoria Casa
Reale dei Savoia di Re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, e della
classe dirigente liberale di Torino, ma al di fuori della visione "rivoluzionaria" del Risorgimento che
avrebbe dovuto esprimersi
nell'Assemblea Costituente, in uno Stato Federale, repubblicano
se non subito figlio delle istituzioni
almeno nello spirito. Giacomo Mancini, pur nella sua apparente
durezza - che tale poteva sembrare la sua fermezza di carattere! - era uomo di grande stile,
d'animo
e d'agire, di grande delicatezza e di grande rispetto istituzionale. Ricordo quando anni fa, ancora al Quirinale, mi recai in doloroso pellegrinaggio,
come non poche volte mi avveniva!, a Lamezia Terme a rendere omaggio
alla memoria di un maresciallo della Polizia di Stato, assassinato dalla
criminalità organizzata, andando al cimitero a deporre - a nome di uno
Stato che ahimè, si sta dimostrando in questi giorni crudelmente e
faziosamente ingrato verso i servitori della legalità e dell'ordine in nome,
horribile dictu!, della "giustizia" e della sicurezza! - una corona di fiori
sulla tomba del servitore dello Stato.
e d'agire, di grande delicatezza e di grande rispetto istituzionale. Ricordo quando anni fa, ancora al Quirinale, mi recai in doloroso pellegrinaggio,
come non poche volte mi avveniva!, a Lamezia Terme a rendere omaggio
alla memoria di un maresciallo della Polizia di Stato, assassinato dalla
criminalità organizzata, andando al cimitero a deporre - a nome di uno
Stato che ahimè, si sta dimostrando in questi giorni crudelmente e
faziosamente ingrato verso i servitori della legalità e dell'ordine in nome,
horribile dictu!, della "giustizia" e della sicurezza! - una corona di fiori
sulla tomba del servitore dello Stato.
I miei collaboratori mi avvertirono, al
termine della dolorosa cerimonia, che ad essa era stato presente, e presente era
ancora sul luogo, Giacomo Mancini che si era tenuto
in disparte, per una rispettosa discrezione dovuta al fatto che era già iniziato il suo calvario giudiziario. Egli fu estremamente
riservato nei confronti del Capo dello Stato e anche dell'amico. Naturalmente non lo fui io nei suoi confronti, per amicizia
e stima, ed anche per sfida verso
l'ingiusto agire contro di lui! Ed egli me ne fu grato, oltre il dovuto!
Perché egli era anche un uomo educato. E
quanto conti anche politicamente e civilmente la "buona
educazione" imperversa nei rapporti personali e
politici!
E di questo tipo di "signore" egli ebbe la generosità,
anche e soprattutto nel servizio civile
alla Sua gente. Forse, di tutti gli uffici
onorevoli e importanti che ricoprì, quello che gli sembrò in fondo il più utile e il più onorevole, fu
quello di Sindaco della Sua amata
città. Nel disbrigo esemplare di questo ufficio egli si prodigò fino
alla sua morte. Ed in questo Egli testimoniò altamente quel carattere di "servizio
alla gente" che la politica
deve essere.
Egli lascia a voi, nobile consorte, figli e nipoti, una grande eredità di valori,
di servizio, di
spirito di sacrificio,
di testimonianza
vera, combattuta e vissuta alla libertà e alla giustizia!
La lascia a voi questa eredità, ma la lascia,
per l'impegno che ci può ancora caso mai attendere!, anche a noi suoi amici, che oggi qui Lo ricordiamo!
Francesco
Cossiga, Roma, 8 Maggio 2002
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