1905

1905 - 2015
da Pietro Mancini a Giacomo Mancini e a Gino Verità
l’attualità di “la Parola Socialista” a 110 anni dalla fondazione

Francesco Cossiga

Ricordo di Giacomo Mancini
Non è facile ricordare un amico, così ricco di vita personale e politica, così "misticamente" identificato nel suo impegno al servizio della comunità secondo i suoi alti ideali, quando la Morte ce ne ha privato e ha confinato la sua vivace presenza nel ricordo, anche se nitido.
Parlare di Giacomo Mancini non è facile, in particolare dopo che, con ben altro diritto che non io, l'hanno così altamente ed esaustivamente commemorato  gli  amici Francesco  Colucci, Giuliano Vassalli e Rino Formica, con parole nobili e che già tracciano una storia della sua vita di uomo di Stato e uomo di Partito, di uomo e di cattolico.
Egli fu un uomo e un politico complesso, nei sentimenti, nei suoi ideali e nel suo agire politico.
Egli fu un uomo di forti sentimenti, di forti "amori" e anche, se la parola non  fosse  in contrasto  con  la sua  forzatamente dissimulata  ma  chiaramente  innata  gentilezza  e  soprattutto generosità, di forti "odii": ma "amori" e "odii" di un uomo, passionale certo, ma che mai fu mosso nel suo sentire e nel suo agire da meschini risentimenti personali o da ancor più meschini interessi.
Egli fu un forte e grande uomo politico, degno figlio di un padre altrettanto forte e grande, Pietro Mancini! Ed egli fu della Prima Repubblica, di quella     gloriosa Prima Repubblica dei repubblicani, del referendum istituzionale coronamento del Risorgimento, della Assemblea Costituente di 50 anni di democrazia, libertà e progresso!, della gloriosa Prima Repubblica, su cui antichi e ancor validi resti, non il nuovo, ma il "nuovismo" di magistrati in cerca di vendetta per invidia sociale o con la presunzione di riscrivere la Storia o con la nobile passione giacobina di raggiungere moralità e scritti politici con il più modesto strumento del processo, e di non pochi dilettanti non è ancora riuscita a costruire neanche le fondamenta della Seconda Repùbblica, che già si parla della Terza: ma né della Seconda né tanto meno si vedono tratti più moderni e democratici della Prima!
Egli fu un socialista fervente, ma per un ideale di giustizia ed eguaglianza concrete, non per astrattezze ideologiche; fu un antifascista inflessibile per ribellione morale alla violenza e alla sopraffazione; un repubblicano che credeva nello Stato costituzionale delle libertà e nello Stato di diritto, e per essi sempre si batté, ma che dovette per spietatezza del destino o per vendetta di miserabili portare il peso tremendo di una "giustizia ingiusta"; e di una mormorazione ignobile, egli era un uomo della libertà, direi delle libertà nel senso libertario del termine! Ed è questo suo spirito "libertario" che gli ispirò, tra critiche di non pochi, estrema ed intelligente comprensione e tolleranza, umana e politica, e comunque sempre attenzione acuta, alle posizioni diverse o anche "alternative" e "alternativiste", alle sue o a quelle comuni, anche di quelle estreme, alla ricerca dei motivi  reali  di  esse  ed  ai  modi  più  integrali  nella vita democratica.
E anche per la sua da allora da me non compresa "intelligenza"verso la sinistra alternativa ed estrema, che io, il Cossiga con la K e le SS Runiche della politica cosiddetto, come Ministro dell'Interno del primo governo di solidarietà nazionale, politica in cui ho  creduto  e ancora credo,  quando fui libero da responsabilità istituzionali, mi applicai all'esame delle cause
vere, politiche e sociali del "terrorismo di sinistra" e della "eversione  di   destra",  sostenendo   fermamente   la   causa dell'amnistia o almeno dell'indulto.
Ed egli fu un grande ed efficiente uomo di Governo: un "genio" della praticità e della concretezza, nell'agire amministrativo di Ministro.
Io lo conobbi non appena, tanti, tanti anni fa ormai!, entrai ancora giovane, quasi un ragazzo, nella Camera dei Deputati ad essa eletto per la Democrazia Cristiana nelle elezioni generali del 1958. E subito ci conoscemmo e subito egli mi prese a ben volere. E diventammo amici.
Avevamo    moltissime    cose    in    comune;  per    alcune contrastavamo, anche duramente, ma sempre schiettamente e lealmente, e per altre differivamo. Entrambi certo non avevamo
un carattere facile, anzi anche un po' ombroso! Ma ogni litigio e incomprensione - e non poche, infatti, ve ne furono – venivano tra di noi subito superate per la reciproca stima, per la buona fede che entrambi ci riconoscevamo e, perché non ammetterlo, anche per la sua grande generosità.
Egli era un politico che, pur nella rude schiettezza propria della sua terra e della sua gente, aveva i modi di pensare e di agire di un grande "signore meridionale", di un grande signore democratico, cui la famiglia non aveva certo trasmesso feudi e titoli, ma valori e virtù!
Egli fu un meridionalista nel senso democratico, politico nazionale e non localistico. Egli fu cioè uno di quei meridionalisti che avevano compreso come, contro ogni tabù della storiografia savoiarda, la unità nazionale d'Italia, come unità morale e sociale di tutti gli italiani e non come pura unità formale e istituzionale, tra l'altro burocraticamente realizzata poi con la diplomazia e l'azione militare della certo per questo meritoria Casa Reale dei Savoia di Re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, e della classe dirigente liberale di Torino, ma al di fuori della visione "rivoluzionaria" del Risorgimento che avrebbe dovuto esprimersi nell'Assemblea Costituente, in uno Stato Federale, repubblicano se non subito figlio delle istituzioni almeno nello spirito. Giacomo Mancini, pur nella sua apparente durezza - che tale poteva sembrare la sua fermezza di carattere! - era uomo di grande stile, d'animo
e d'agire, di grande delicatezza e di grande rispetto istituzionale. Ricordo quando anni fa, ancora al Quirinale, mi recai in doloroso pellegrinaggio,
come non poche volte mi avveniva!, a Lamezia Terme a rendere omaggio
alla memoria di un maresciallo della Polizia di Stato, assassinato dalla
criminalità organizzata, andando al cimitero a deporre - a nome di uno
Stato che ahimè, si sta dimostrando in questi giorni crudelmente e
faziosamente ingrato verso i servitori della legalità e dell'ordine in nome,
horribile dictu!, della "giustizia" e della sicurezza! - una corona di fiori
sulla tomba del servitore dello Stato.
I miei collaboratori mi avvertirono, al termine della dolorosa cerimonia, che ad essa era stato presente, e presente era ancora sul luogo, Giacomo Mancini che si era tenuto in disparte, per una rispettosa discrezione dovuta al fatto che era già iniziato il suo calvario giudiziario. Egli fu estremamente riservato nei confronti del Capo dello Stato e anche dell'amico. Naturalmente non lo fui io nei suoi confronti, per amicizia e stima, ed anche per sfida verso l'ingiusto agire contro di lui! Ed egli me ne fu grato, oltre il dovuto!
Perché egli era anche un uomo educato. E quanto conti anche politicamente e civilmente la "buona educazione" imperversa nei rapporti personali e politici!
E di questo tipo di "signore" egli ebbe la generosità, anche e soprattutto nel servizio civile alla Sua gente. Forse, di tutti gli uffici onorevoli e importanti che ricoprì, quello che gli sembrò in fondo il più utile e il più onorevole, fu quello di Sindaco della Sua amata città. Nel disbrigo esemplare di questo ufficio egli si prodigò fino alla sua morte. Ed in questo Egli testimoniò altamente quel carattere di "servizio alla gente" che la politica
deve essere.
Egli lascia a voi, nobile consorte, figli e nipoti, una grande eredità di  valori,   di   servizio,   di   spirito   di   sacrificio,   di testimonianza vera, combattuta e vissuta alla libertà e alla giustizia!
La lascia a voi questa eredità, ma la lascia, per l'impegno che ci può ancora caso mai attendere!, anche a noi suoi amici, che oggi qui Lo ricordiamo!

Francesco Cossiga, Roma, 8 Maggio 2002

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